Il 5 febbraio scorso, in occasione dell’Assemblea nazionale di AIPPI, si è tenuto un interessante seminario su “Le novità IP della legge 99/2009 e del dl 135/2009”, con il coinvolgimento di autorevoli relatori quali – in ordine di intervento – l’avv. Silvia Giudici, l’avv. Giacomo Gualtieri, l’avv. prof. Cesare Galli e l’avv. prof. Marco Cuniberti, coordinati dal Presidente avv. prof. Luigi Carlo Ubertazzi.
L’apertura dei lavori è stata affidata all’intervento dell’avv. Silvia Giudici concernente le principali novità di natura civilistica introdotte dall’art. 19 della legge 99/2009.
Tra esse, particolare rilievo assume l’introduzione della priorità interna, ossia la possibilità di depositare una domanda italiana di brevetto (o modello di utilità), rivendicando la priorità di una precedente domanda anch’essa italiana, “purchè la seconda si riferisca ad elementi già contenuti nella domanda di cui si rivendica la priorità”.
Secondo l’interpretazione suggerita dalla relatrice, la priorità interna – diversamente della priorità unionista – permette all’inventore di riscrivere la domanda, modificando ed integrando la descrizione (eventualmente anche aggiungendo nuovi disegni e nuovi risultati), nonché di formulare nuove rivendicazioni, fermo restando che la tutela brevettuale decorrerà dalla data del primo deposito limitatamente agli elementi già contenuti nella domanda prioritaria, come eventualmente integrati mediante il secondo deposito. Diversamente, tutto ciò che non era presente neppure in forma embrionale nella prima domanda, costituirà invece materia nuova e sarà tutelato con decorrenza dalla data del secondo deposito, non potendo beneficiare della priorità.
Nella pratica – evidenzia la relatrice – la priorità interna potrà essere utilizzata per sanare l’insufficiente descrizione del primo deposito, per convertire il modello di utilità in invenzione e viceversa, per integrare le rivendicazioni, per aggiungere materia nuova e, non da ultimo, per estendere di un anno l’esclusiva brevettuale concessa.
Un’interpretazione difforme è stata invece proposta dal prof. Avv. Ubertazzi, ad avviso del quale la priorità interna ha gli stessi effetti della priorità unionista, perchè identica ne è la ratio. A sostegno di tale interpretazione deporrebbero, tra gli altri argomenti, la lettera della norma laddove si riferisce al “diritto di priorità anche rispetto alla domanda nazionale”, e la collocazione della stessa dopo la priorità unionista.
Sarà interessante vedere quale posizione incontrerà il favore della prassi e della giurisprudenza.
E’ stata, poi, la volta dell’avv. Giacomo Gualtieri, il quale passato in rassegna le novità di diritto penale industriale introdotte dalla legge 99/2009, ossia: a) la riscrittura della disciplina del reato di contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali; b) la riformulazione del reato di introduzione nel territorio dello Stato e commercio di prodotti con segni falsi; c) la previsione per entrambi i predetti reati di specifiche circostanze aggravanti nelle ipotesi in cui la contraffazione riguardi ingenti quantitativi, ovvero sia continuativa, o posta in essere in modo organizzato (art. 473, 474 e 474-ter cp); d) l’introduzione di nuove disposizioni in materia di confisca di beni; e) la modifica della norma sul reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci; f) l’introduzione di due nuove fattispecie di reato: la fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando diritti di proprietà industriale e la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
L’avv. Gualtieri ha sottolineato come alcune delle novità in commento abbiano il principale merito di aver recepito anche nella disciplina penale la moderna concezione di marchio quale veicolo di messaggi positivi, meritevole di tutela contro ogni forma di sfruttamento parassitario, quand’anche di natura non confusoria.
L’interesse protetto da questi nuovi reati, infatti, non è più la tutela della fede pubblica, ma la tutela dei beni, trovando così repressione panale anche il cd. falso d’autore (o falso palese) nonché la contraffazione dell’invenzione brevettata, fattispecie prima difficilmente configurabile come reato, non riscontrandosi alcuna lesione alla fede pubblica.
L’intervento dedicato alle nuova disciplina sull’indicazione di origine e made in Italy è stato condotto dall’avv. prof. Cesare Galli, il quale ha offerto la propria lettura critica dell’art. 4 comma 49 legge n. 350/2003, come riformulato dalla legge 99/2009.
La norma – che ha avuto vita brevissima – vieta l’uso di marchi “di aziende italiane” su prodotti o merci non realizzati in Italia, senza indicazione chiara dell’effettiva provenienza estera con “caratteri evidenti” o con “altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera”. Essa – osserva Galli – non solo costituisce un ostacolo alla delocalizzazione produttiva, ma introduce un’ingiustificata disparità di trattamento tra le imprese italiane che realizzano i propri prodotti all’estero e le imprese straniere che parimenti delocalizzano la propria produzione.
La segnalata disparità di trattamento viene peraltro mantenuta anche nella versione successiva all’abrogazione parziale operata dal successivo d.l. n. 135/2009.
Il citato decreto (all’art. 16) sostituisce la sanzione penale con una sanzione amministrativa e non parla più di “marchi di imprese italiane”, ma di “uso del marchio con modalità tale da indurre a ritenere che siano di provenienza italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto”
Secondo la lettura critica proposta:
– la norma continua ad essere discriminatoria nella misura in cui non sanziona qualsiasi ipotesi di difformità tra provenienza geografica apparente e provenienza geografica effettiva, ma solo quelle in cui la predetta difformità riguarda la provenienza italiana, con conseguente censurabilità della norma sia per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sia per violazione al principio comunitario della libera circolazione delle merci;
– la norma è ambigua in quanto non consente di determinare se sia sufficiente a configurare l’illecito la mera apposizione di un marchio che sembri italiano o se occorra anche il compimento di condotte ulteriori atte a far ritenere che il prodotto abbia origine italiana;
– inoltre, la portata dell’inciso “uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario” è dubbia e non consente di stabilire se la norma riguardi anche i prodotti immessi in Italia, ma destinati a mercati esteri.
Diverse perplessità sono state sollevate anche in ordine alla norma del comma 4 del medesimo art 16, che sanziona penalmente l’utilizzo di indicazioni atte a far ritenere che il prodotto sia interamente realizzato in Italia, quando ciò non risponda al vero. Le espressioni “100% made in Italy”, “100% italiano”, “tutto italiano” possono essere utilizzate legittimamente solo con riferimento a prodotti “per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano”.
Nonostante le ambiguità della norma Galli reputa preferibile l’interpretazione secondo cui non configurerebbe la fattispecie la mera apposizione del tricolore o dello stivale, posto che questi simboli designerebbero semplicemente l’origine italiana della merce, nell’accezione accolta dal Codice Doganale Comunitario.
In chiusura, l’intervento dell’avv. prof. Marco Cuniberti, volto a delineare i confini della delega contenuta nel comma 15 dell’art. 19.
Per effetto di essa il legislatore delegato è chiamato ad adottare, entro un anno dall’entrata in vigore della legge 99/2009, disposizioni correttive o integrative, non solo di ordine sostanziale, ma anche di ordine processuale, circostanza, questa, che dovrebbe ridurre notevolmente i rischi di subire pronunce di incostituzionalità simili a quelle che hanno investito il Cpi.
Principi direttivi fissati dalla norma sono, tra altri, l’esigenza di armonizzare la normativa con la disciplina comunitaria ed internazionale (sub let. b) e l’introduzione di una nuova disciplina delle invenzioni dei dipendenti delle Università e delle istituzioni pubbliche di ricerca, con attribuzione a queste dei relativi diritti di brevetto.
A quest’ultimo riguardo viene sollevato un dubbio sulla legittimità della delega nella misura in cui, ponendosi in direzione contraria rispetto alle scelte operate dal legislatore del Cpi, non si limiterebbe ad “adottare disposizioni correttive o integrative” ma si tradurrebbe in una vera e propria abrogazione con ripristino della disciplina previgente il Cpi. Secondo l’interpretazione suggerita dal relatore ciò costituirebbe un problema di rilievo costituzionale solo laddove la norma del Cpi eventualmente abrogata si ponesse come elemento centrale delle linee guida contenute nella precedente delega.
Avv. Barbara Sartori
CBA – Studio Legale e Tributario