La nuova Class Action

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La nuova Class Action

L’art. 49 legge n. 99/2009 (cosiddetta legge sviluppo) ha quasi integralmente riscritto l’art. 140-bis del codice del consumo, introdotto dalla legge finanziaria per il 2008 e mai entrato in vigore, in forza di successive proroghe. Le novità rispetto alla stesura originaria della norma non riguardano tanto l’aspetto sostanziale, quanto quello processuale.

Dal punto di vista sostanziale, infatti, al cambiamento di nome – l’ “azione collettiva risarcitoria” è diventata ora “azione di classe” – non si sono accompagnate modifiche di rilievo: a parte qualche differenza terminologica, l’azione tutela, ora come nella formulazione originaria, i diritti individuali omogenei di una pluralità di consumatori e utenti, siano essi di natura contrattuale o extracontrattuale; e nell’ambito di quest’ultima categoria sono specificamente nominati i diritti al ristoro del pregiudizio derivante da pratiche commerciali scorrette e da comportamenti anticoncorrenziali.

Sotto il profilo processuale, invece, alla frettolosa stesura della prima versione della norma si è ora sostituito un testo senz’altro più meditato, che lascia meno spazio ad incertezze e dubbi interpretativi, e che appare complessivamente più idoneo – se non altro a motivo della sua maggior chiarezza – a tutelare le posizioni delle parti in campo.

Innanzitutto, è sparita la divisione fra fase giudiziale (riservata all’accertamento dell’an debeatur, oltre che alla determinazione dei criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o restituire ai singoli consumatori o utenti) e fase conciliativa, demandata all’iniziativa dell’impresa o, in difetto, ad una camera di conciliazione. Secondo il testo attuale, infatti, il tribunale che pronuncia sentenza di condanna procede anche alla liquidazione, ai sensi dell’art. 1226 c.c., delle somme dovute a chi ha aderito all’azione, oppure stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di tali somme.

In secondo luogo, la legittimazione attiva è riconosciuta a ciascun componente della classe, “anche mediante associazioni cui dà mandato, o comitati cui partecipa”: è dunque sparita la legittimazione “privilegiata” delle associazioni di cui all’art. 139 codice del consumo, alle quali – secondo la precedente formulazione della norma – si univano, in posizione quasi subordinata, associazioni e comitati adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere, essendo esclusa, in ogni caso, la legittimazione del singolo ad agire a tutela dell’interesse collettivo. Per quando riguarda i limiti soggettivi dell’azione (e del giudicato destinato a formarsi a seguito della stessa), il modello prescelto dal legislatore italiano rimane quello dell’opt-in: l’azione collettiva vincola solo coloro che l’hanno promossa o vi hanno aderito, salva restando la facoltà di quanto non vi abbiano aderito di proporre singole azioni individuali, ma non un’ulteriore azione collettiva.

La competenza territoriale è ora attribuita non già al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa, ma al tribunale del relativo capoluogo di regione, con l’accorpamento di alcune regioni ad altre: una concentrazione di competenza che dovrebbe favorire la formazione di una giurisprudenza uniforme, frutto di una scelta concettualmente uguale, anche se non sempre coincidente sotto il profilo geografico, a quella che ha condotto all’istituzione delle sezioni specializzate in proprietà intellettuale.

Il giudizio è diviso in due fasi: una fase preliminare, destinata a concludersi con un’ordinanza, dedicata alla verifica dell’ammissibilità della domanda, nonché alla decisione sull’eventuale sospensione del giudizio, qualora sui fatti rilevanti ai fini del decidere sia in corso un’istruttoria davanti ad un’autorità amministrativa indipendente (AGCM, AGCOM, Consob) o davanti al giudice amministrativo; e una fase di merito, dedicata all’accertamento della responsabilità dell’impresa e alla determinazione delle somme spettante a quanti hanno aderito all’azione.

La verifica dell’ammissibilità della domanda – prevista anche dalla originaria versione dell’art. 140-bis – costituisce indubbiamente una novità per il nostro ordinamento, ed è giustificata dalla particolarità dell’azione collettiva: la domanda infatti può essere dichiarata inammissibile quando non sussistano i presupposti per l’azione di classe (manifesta infondatezza, non identità dei diritti fatti valere), oppure quando il proponente, per conflitto di interessi o per altre ragioni, non appaia in grado di curare adeguatamente gli interessi della classe.

L’ordinanza che decide sull’ammissibilità dell’azione è reclamabile davanti alla corte d’appello, e costituisce uno snodo fondamentale del giudizio non solo quando, ritenendo l’azione inammissibile, lo definisce, con condanna del soccombente alle spese, anche di pubblicazione; ma anche quando ritiene l’azione ammissibile. In questo caso infatti l’ordinanza non contiene solo disposizioni di carattere organizzativo per il successivo svolgimento del processo e in particolare della fase istruttoria, ma determina l’ambito del giudizio, definendo i caratteri dei diritti individuali che formeranno oggetto dello stesso, e i criteri in base ai quali i soggetti che richiedono di aderire devono ritenersi inclusi o meno nella classe.

La fase di merito non è rigidamente vincolata alle regole dell’ordinario processo civile di cognizione. Il tribunale gode di ampie facoltà organizzative, subordinate ovviamente al rispetto del contraddittorio, ma finalizzate ad assicurare “l’equa, efficiente e sollecita gestione del processo”; in particolare, gli è attribuita la facoltà di adottare “misure atte ad evitare indebite ripetizioni o complicazioni nella presentazione di prove o argomenti”.

La sentenza di condanna non è immediatamente esecutiva, ma lo diventa decorsi centottanta giorni dalla sua pubblicazione, spatium deliberandi lasciato all’impresa, evidentemente, per verificare la possibilità di raggiungere soluzioni transattive. L’interesse dell’impresa a recuperare agevolmente, a seguito di una riforma della sentenza in appello, quanto sia stata ingiustamente condannata a pagare in primo grado, trova risposta nella facoltà della corte di disporre che la somma complessivamente dovuta dal debitore sia depositata e resti vincolata fino al passaggio in giudicato della sentenza.

La nuova class action, a differenza di quanto prevedeva l’originaria formulazione dell’art. 140-bis, si applicherà solo agli illeciti compiuti successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 99/2009, cioè successivamente al 15 agosto 2009, essendo stata la legge pubblicata sulla G.U. del 31 luglio. Sennonché, il d.l. n. 78/2009 aveva precedentemente prorogato la data di efficacia dell’art. 140- bis codice del consumo fino al 1° gennaio 2010, ed è stato successivamente convertito in legge (legge n. 102/2009). Dunque, l’azione di classe sarà esperibile dal 1° gennaio 2010, ma per illeciti commessi successivamente al 15 agosto 2009.

AVV PAOLINA TESTA STUDIO FTCC

2019-11-02T09:26:21+01:00 5 Novembre 2009|Giurisprudenza e Documenti|