Con la sentenza del 23 marzo 2010 nelle cause riunite C-236/08, C-237/08, C- 238/08 la Corte di Giustizia ha preso posizione sulla questione molto dibattuta se i servizi forniti dai motori di ricerca siano qualificabili come hosting ex artt. 12-15 della Direttiva 2000/31 sul Commercio Elettronico ancorché il motore di ricerca ricavi un profitto dalla loro fornitura, e se, nel caso di servizi di keyword advertising (vale a dire di pubblicità, sotto forma di link sponsorizzati evidenziati in certe parti della pagina in cui vengono forniti i risultati di una ricerca, distinte da questi ultimi) l’uso di parole chiave coincidenti con marchi altrui integri una violazione dei diritti su quei marchi da parte dell’inserzionista e del fornitore del servizio. Su quest’ultimo punto, la Corte ha stabilito – ed ha subito ribadito in C. Giust. CE 25 marzo 2010, C-278/08 (BergSpechte) – che il prestatore di un servizio di keyword advertising su Internet che consente l’uso di parole chiave identiche a un marchio altrui non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5 nn. 1 e 2 della direttiva 89/104: e ha aggiunto che in questo caso il motore di ricerca è qualificabile come ISP che offre un servizio di hosting, beneficiando dunque dell’esenzione di responsabilità prevista dagli artt. 12-15 della direttiva sul commercio elettronico in quanto non svolge, né può essergli richiesto di svolgere, un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati su richiesta di un inserzionista. La responsabilità sorge solo ove l’ISP, avendo avuto conoscenza della natura illecita dei dati inseriti, abbia omesso di rimuoverli o di disabilitare l’accesso agli stessi.
La pronuncia della Corte CE appare in linea con l’ordinanza collegiale di II grado emessa dal Tribunale di Roma, 11 febbraio 2010 sul caso You Tube/R.T.I., secondo cui “You Tube e Google svolgono attività di ISP, cioè servizio di ‘hosting’, consistente nell’offrire ai propri utenti una piattaforma attraverso la quale conservare e rendere disponibili contenuti audio e video e quindi memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio”; non esiste “un obbligo di sorveglianza generale del provider rispetto al contenuto dei dati”; e “non si tratta quindi di pretendere dal provider un’attività preventiva di controllo e di accertamento di ciascun singolo frammento caricato dagli utenti, ma di rimuovere materiale illecitamente trasmesso dopo aver avuto conoscenza, dall’avente diritto”, della natura illecita dei materiali inseriti.
AVV. PROF. LUIGI MANSANI LOVELLS