Gli antefatti
La storia è nota. Negli ultimi tre anni la Commissione Europea, con l’appoggio del Commissario al Mercato Interno, dal febbraio 2010 il francese Michel Barnier, ha dedicato al dossier sul brevetto comunitario ogni sforzo per raggiungere l’obiettivo della creazione del c.d. brevetto comunitario che è in discussione almeno dal 1975 quando la prima Convenzione in materia ha prodotto un testo che non è mai entrato in vigore come, d’altra parte, la seconda versione della stessa Convenzione del 1989, il progetto per un Regolamento del 2000, e la successiva decisione del Consiglio dei Ministri della Comunità Europea del 2003 destinata a sbloccare i punti di disaccordo.
Il forcing della Commissione, alla fine del 2009, sotto la Presidenza svedese, ha condotto alla predisposizione vuoi di una bozza di accordo per la costituzione di una Corte unificata sui brevetti in Europa (competente sia per i futuri brevetti comunitari che per i brevetti europei), vuoi di uno schema di Regolamento per un brevetto per l’Unione Europea (brevetto UE).
La bozza di accordo sulla Corte unificata dei brevetti (EEUPC) è stata nello stesso anno inviata alla Corte di Giustizia per un parere preliminare sulla compatibilità con le norme dei Trattati istitutivi dell’Unione Europea. Lo schema di Regolamento sul brevetto è stato invece proposto per una prima approvazione al Consiglio Competitività dell’Unione Europea il 3-4 dicembre 2009 insieme ad un documento riassuntivo da adottarsi da parte del Consiglio stesso, e noto come “Conclusioni politiche”, relativo alle caratteristiche generali del nuovo sistema dei brevetti basato tanto sull’accordo relativo alla Corte dei Brevetti in Europa quanto sul Regolamento relativo al brevetto per l’Unione Europea.
Le conclusioni politiche in effetti sono state approvate il 3 dicembre 2009 ed in esse si sottolineava che il sistema doveva considerarsi nella sua interezza essendo finalizzato a costituire un brevetto unico per l’Unione Europea con un’unica giurisdizione.
Dal punto di vista italiano va ricordato come le preoccupazioni nel nostro paese, a livello di Governo, fossero essenzialmente rivolte ad impedire che il regime trilinguistico previsto dalla Convenzione sul Brevetto Europeo venisse trasferito tal quale al brevetto per l’Unione Europea incuneando in quest’ultima un precedente relativo ad uno status privilegiato delle lingue francese, tedesca ed inglese rispetto al regime paritario di tutte le lingue degli stati membri previsto dai Trattati. Si era però anche considerato, a livello degli esperti ministeriali che si occupavano di questo dossier, l’interesse per l’Italia ad ottenere la sede della Corte sui brevetti nell’ambito delle negoziazioni destinate a finalizzare l’intero progetto. Questa posizione è stata particolarmente sostenuta dal rappresentante dei consulenti in proprietà industriale, ma anche, da un certo momento in poi, dalla Confindustria. Sta di fatto che nelle conclusioni approvate il 3 dicembre 2009, per quanto riguarda le lingue, si faceva solo accenno al regime di “traduzione” relativo al brevetto per l’Unione Europea e non al regime linguistico concernente la procedura di brevettazione che sarebbe rimasta quella prevista dalla Convenzione sul Brevetto Europeo. Ciò in quanto il futuro brevetto per la UE è stato strutturato come un brevetto europeo per cui il titolare, al momento della concessione, avrebbe chiesto il riconoscimento quale brevetto con effetto unitario nell’Unione. Inoltre, per quanto riguarda la sede della Corte, nelle conclusioni era stato inserito all’ultimo momento (non a caso su richiesta del Lussemburgo) un “considerando” in base al quale la sede sarebbe stata decisa sulla base del cosiddetto “acquis communautarie”, ciò che equivaleva, nella logica delle decisioni finora adottate, e sicuramente nell’idea del Lussemburgo, ad attribuire la sede a quest’ultimo paese.
Questa approvazione, che ha rappresentato un indubbio successo delle istituzioni comunitarie, lasciava tuttavia aperte due questioni. La prima riguardava il regime delle traduzioni per il quale era stato dato mandato alla Commissione di predisporre un apposito Regolamento separato da quello del brevetto per l’Unione Europea in quanto la questione linguistica, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, richiede un’approvazione all’unanimità. La seconda era costituita dal parere che doveva ancora emettere la Corte di Giustizia sul regime giurisdizionale proposto e sulla Corte unificata dei brevetti in Europa.
Il brevetto per l’Unione Europea e il regime linguistico
Circa sei mesi dopo l’accordo del dicembre 2009, il 2 luglio 2010, la Commissione pubblicava una proposta per un Regolamento relativo alla traduzione dei brevetti per l’Unione Europea. Tuttavia il Regolamento, sorprendentemente, si limitava ad indicare che, come regola generale, non ci sarebbe stata alcuna ulteriore traduzione oltre quella già prevista alla concessione del brevetto europeo in base alla quale le rivendicazioni dovevano essere tradotte nelle altre due lingue ufficiali diverse dalla lingua in cui si era svolta la procedura di concessione del brevetto. L’unica nuova traduzione inclusa nella proposta riguardava l’intero testo del brevetto nella lingua dello stato dove fosse sorto un litigio su una eventuale contraffazione o nella lingua dello stato di residenza del presunto contraffattore: casi che avrebbero dovuto essere previsti, insieme ad altre misure, nell’accordo relativo al funzionamento della Corte sui brevetti in Europa piuttosto che nel Regolamento linguistico del brevetto.
Questa posizione di chiusura della Commissione ad ogni traduzione ha sollevato, come è noto, soprattutto da parte di alcuni paesi che ad essa avevano sempre annesso ufficialmente una notevole importanza, molte discussioni e ha visto una reazione molto forte soprattutto da parte della Spagna e dell’Italia. Nonostante gli sforzi del Commissario Barnier in due Consigli Competitività alla fine del 2010, l’accordo sul regime linguistico non è stato trovato in quanto il compromesso offerto basato essenzialmente sulla futura (ma per ora incerta) disponibilità di traduzioni automatiche affidabili e, solo per alcuni anni, sull’obbligo di produrre una traduzione manuale del brevetto concesso in inglese, ove la lingua di lavoro fosse stata diversa, non è apparso sufficiente alla Spagna e all’Italia. Quest’ultima peraltro si era pronunciata per un regime linguistico “tutto inglese” secondo la formula “English only and always”.
La cooperazione rafforzata
Da questo momento parte il tentativo di arrivare sostanzialmente ad un brevetto per l’Unione Europea senza Spagna ed Italia. Si concretizza pertanto l’iniziativa di mettere in piedi, per quanto riguarda il Regolamento sul Brevetto, la procedura della c.d. cooperazione rafforzata prevista dagli artt. 20 e 326-334 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Così, già pochi giorni dopo l’ultimo Consiglio Competitività del 10 dicembre 2010, 12 stati membri, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Slovenia, Svezia e Regno Unito presentano formale richiesta per l’avvio di detta procedura. Nei mesi successivi, con una fretta inusitata, si pronunciano favorevolmente, prima il Parlamento Europeo (15 febbraio 2011) e quindi il Consiglio Competitività della UE (10 marzo 2011), mentre ai primi 12 stati se ne aggiungono altri 13 totalizzando 25 stati su 27 e dunque lasciando fuori soltanto Spagna ed Italia. La Commissione, il 13 aprile 2011, a sua volta adotta due proposte di Regolamento. La prima relativa all’attuazione della cooperazione rafforzata per l’istituzione di un brevetto unitario e la seconda relativa al regime di traduzione applicabile.
Tale quasi unanimità, che ha finito per mettere in un angolo i due stati insoddisfatti è stata probabilmente facilitata dalle condizioni di debolezza dell’economia di alcuni paesi, notoriamente non favorevoli al regime linguistico proposto dalla Commissione, ma alla fine non inclini a contrastare le pressioni della Commissione stessa in questa materia in un momento in cui altre erano le priorità cui essi dovevano guardare nell’ambito dei rapporti con gli altri paesi dell’Unione. Nel quadro così delineatosi, la cooperazione rafforzata dovrebbe quindi poter procedere con notevole speditezza.
L’opinione della Corte di Giustizia
Tuttavia, un problema di grande impatto per il sistema era emerso da qualche settimana, l’8 marzo 2011, quando la Corte di Giustizia aveva espresso la propria opinione (opinione 1/09) sulla proposta di accordo concernente il sistema giurisdizionale e la creazione di una Corte unificata sui brevetti in Europa.
Già durante la procedura di fronte alla Corte, alcuni stati (Irlanda, Italia, Cipro, Spagna, Lituania e Lussemburgo) avevano espresso l’opinione che il progetto di accordo fosse incompatibile con i Trattati. Il Parlamento, la stessa Commissione e i Governi di Francia e Belgio avevano indicato invece solo la necessità di modifiche correttive per assicurare la compatibilità. L’Avvocato Generale, nell’opinione espressa il 2 luglio 2010, aveva dichiarato di ritenere il progetto di accordo incompatibile con i Trattati in quanto da un lato non era in grado di assicurare la primazia della legislazione dell’Unione nelle decisioni della progettata Corte sui brevetti, e dall’altro lasciava trasparire una insufficienza dei rimedi nel caso in cui la legislazione dell’Unione fosse stata violata, una impossibilità di un effettivo controllo sull’applicazione della legislazione dell’Unione e la violazione dei diritti di difesa quanto al regime linguistico utilizzabile nella difesa in caso di litigio di fronte alla Corte.
La Corte di Giustizia, l’8 marzo 2011, conferma l’opinione di incompatibilità anche se non segue esattamente l’opinione dell’Avvocato Generale. La Corte ritiene la proposta di accordo internazionale incompatibile in quanto esso si situa fuori dal quadro istituzionale e giuridico dell’Unione Europea come previsto dal Trattato UE e dal Trattato FUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). Ciononostante la nuova Corte sui brevetti avrebbe il diritto di interpretare ed applicare non solo le disposizioni dell’accordo con cui viene istituita, ma anche il futuro Regolamento sul brevetto comunitario e altri atti e norme di diritto dell’Unione, incluso il Trattato FUE relativamente al mercato interno e al diritto della concorrenza. Inoltre, sarebbe competente a decidere sui principi generali del diritto dell’Unione ed eventualmente ad esaminare la validità di un atto dell’Unione.
La Corte invece mette l’accento sul fatto che il sistema introdotto dai Trattati, in particolare dall’art. 267 FUE, istituisce una cooperazione diretta tra la Corte stessa ed i giudici nazionali, nell’ambito della quale questi ultimi partecipano alla corretta applicazione e all’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione, inclusa la tutela dei diritti dei privati. Questo quadro è essenziale per la salvaguardia della natura stessa dell’ordinamento voluto dai Trattati. Privare i giudici degli stati membri del compito di dare attuazione al diritto dell’Unione per attribuirla ad un giudice istituito con un accordo internazionale, dotato di personalità giuridica propria ed al di fuori del sistema giurisdizionale previsto nell’art. 19, n. 1, del Trattato dell’Unione Europea, è pertanto inammissibile.
La Corte fa presente che differente sarebbe il caso se l’organo in questione fosse un organo giurisdizionale totalmente all’interno dell’Unione e comune ai suoi stati membri, come ad esempio è la Corte di Giustizia del Benelux. Tuttavia, la conseguenza sarebbe quella di attribuire la competenza alla Corte sui Brevetti solo dei litigi sui brevetti aventi effetto unitario nell’Unione escludendo i brevetti europei concessi secondo la Convenzione sul Brevetto Europeo e aventi validità in base alle norme di tale Convenzione. Alternativamente, si dovrebbe tornare alla competenza dei giudici nazionali ai quali però, sulla base del lungo dibattito svoltosi intorno a questo progetto, si è restii a concedere (particolarmente la grande industria) una competenza tale da permettere ad un tribunale di uno qualsiasi degli stati membri, anche i più piccoli e presumibilmente meno esperti, di giudicare per l’intera Unione l’esistenza o meno di una contraffazione e, ancor più, la validità o meno di un brevetto.
Intanto, Spagna e Italia hanno dichiarato di voler far ricorso alla Corte di Giustizia contro la decisione di applicare la normativa sulla cooperazione rafforzata alla materia brevettuale in quanto quest’ultima influenzerebbe negativamente il funzionamento del mercato interno e della concorrenza, in contrasto con il requisito per cui tale cooperazione debba invece “rafforzare” il processo di integrazione dell’Unione, come previsto dall’art. 20 del Trattato.
La storia del progetto di un brevetto ed una giurisdizione unitaria sembra pertanto ancora lontana dalla conclusione e all’Italia resta aperto uno spazio per trattative che possono condurre a risultati positivi se ci saranno chiarezza di idee e negoziatori capaci.
Dr. Fabrizio De Bendetti
Societa’ Italiana Brevetti S.p.A.*